venerdì 21 marzo 2014

Come affrontare i momenti difficili? Crisi e risorse




Per parlare di come affrontare una crisi (crisi lavorativa, di coppia, esistenziale …) sento ha senso per me partire da una crepa in ceramica. Circa un anno fa un amico urtò e ruppe un vaso cui ero molto affezionata, uno di quei grossi vasi stile etnico. Ne restò il guscio principale e tre pezzi che, incastrati bene a mosaico, permettevano di ricomporlo. Un quarto e ultimo pezzo però non voleva stare al suo posto, così il vaso è rimasto ricomposto quasi del tutto, ma senza un pezzo per diverso tempo, finché un giorno guardandolo bene ho avuto un pensiero illuminante: ora che è rotto e gli manca un pezzo posso vedere come è fatto dentro. E subito ho pensato a me. Vivevo un periodo doloroso e quel vaso mi diceva molto. Mi invitava a tenere gli occhi aperti, di fronte allo squarcio aperto.

Nei momenti difficili spesso ci conosciamo meglio, scopriamo voragini, ma anche e soprattutto risorse. Risorse luminose
Avevo visto tutto questo all’opera nei miei pazienti, avevo constatato il meraviglioso meccanismo per cui una persona inizia un percorso, tocca il fondo, e poi inizia a risalire come non avrebbe mai fatto senza la spinta destrutturante della crisi, la voglia di guardarsi e di mettere le mani in pasta che a volte solo le difficoltà e le rotture stimolano. Ora vedevo tutto questo anche in me.

E potersi conoscere di più proprio nei momenti difficili non è il solo messaggio del vaso rotto, per poterlo cogliere occorreva io guardassi davvero e questo ci porta a un altro aspetto importante: quando stiamo male è il momento di tenere gli occhi ben aperti, ampliare la nostra percezione, resistere alla tentazione di chiudere gli occhi e smettere di ascoltarci. Anestetizzarci evitando di aprire gli occhi non accorcerà i tempi del dolore, nè accelererà la soluzione della crisi. Anzi. Ognuno di noi ha sperimentato che è caso mai vero il contrario. 

Una volta guardato lo spiraglio su di noi aperto dalle difficoltà, si apre il momento del "Cosa me ne faccio di questa cosa che ho scoperto su me e il mondo intorno a me affrontando la crisi? Come mi può aiutare a stare meglio? Come mi può aiutare a rimettermi in piedi?". E qui si apre la ricostruzione, la ricomposizione: ci rimettiamo insieme, cerchiamo di farlo nel modo migliore e questa ricomposizione ci può dare soddisfazione e forza. E allora kintsugi!


affrontare la crisi
Dare valore alla ricomposizione.
Mi spiego meglio, quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, ad esempio una tazza, non si preoccupano di nascondere la riparazione, né esultano come noi quando diciamo: “ecco, è come nuovo! Nessuno direbbe che prima era rotto, vero?”

La loro prospettiva è diversa, esaltano la ricomposizione e nel farlo valorizzano la crepa riempiendo la frattura con dell’oro. Pensano che quando qualcosa ha subito una ferita e ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata "Kintsugi", che significa "riparare con l'oro" ed è una pratica che nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una rottura possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione e pienezza interiore. Oro, metallo prezioso e ben visibile, al posto di colla, materiale adesivo trasparente.   

La differenza è tutto qui: nascondere l’integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?  

E prima ancora il punto è: mostrare la rottura, se non altro a noi stessi, accettandola fino in fondo, o celare la rottura, le imperfezioni agli altri e magari anche a chi vediamo allo specchio ogni mattina?   

Si tratta di scegliere: fare i conti con la rottura, la crisi esistenziale, “gli urti della vita” , prendendone atto fino in fondo per poi partire per la ricomposizione convinti del valore del “ricostruirsi”, o cercare di nascondere la rottura, non guardare quello che non va e abilmente evitare che gli altri ci facciano caso? 

Scegliere l’una o l’altra via implica un atteggiamento ben diverso nei confronti della ricomposizione: nel primo caso ripararsi è una conquista che dà soddisfazione profonda, é come dire “ho vissuto, ho sofferto, mi sono rimesso in piedi” – le crepe del vaso rotto non le riempiremo forse d’oro, metodo un po’ dispendioso, ma guarderemo con soddisfazione il nostro vaso-sè rimesso insieme, ricordando come si è rotto e soprattutto come lo abbiamo riparato. Si tratta di un’idea ben lontana da quella che guida molte persone ferite, che attraversano momenti difficili e si vivono interiormente come rotti e giorno per giorno recitano la parte di quelli che stanno bene, che non hanno nessun problema e “sono come tutti gli altri”. 

Spesso facciamo un po' fatica a far pace con le crepe: la nostra cultura ci ha insegnato che esistono soltanto due opzioni: intatto o rotto. E se è rotto, la colpa è di qualcuno o va comunque addossata a qualcuno. Valorizzare la ricomposizione implica sia necessario ammettere e vivere appieno la rottura. Il pensiero orientale, in questo senso, integra il nostro, ci suggerisce che la vita è integrità e rottura insieme, ri-composizione costante e infinita. In fondo tutti sappiamo che l’inverno è necessario alla primavera, non possiamo ricostruirci se non partendo dall’accettazione del fatto che a volte qualcosa nella nostra vita è crollato, è scomparso, perchè non poteva essere eterno, perchè siamo cambiati o perchè non era forse mai stato costruito in modo solido. 

Il dolore è parte della vita. A volte una parte importante, a volte meno, ma in entrambi i casi è una parte del puzzle, del grande gioco della vita. Il dolore solitamente fa due cose: ci ricorda che siamo vivi e quando passa, se lo abbiamo affrontando senza chiudere gli occhi, ci ritroviamo un po' cambiati, più saggi, più consapevoli. E quanto tutto ciò avviene ci amplia lo sguardo sulla realtà.
Il senso di ascoltarci nei momenti difficili, eventualmente col supporto di un esperto, è quello di far sì che la crisi non sia sterile, ma possa svolgere fino in fondo il suo compito, traghettandoci verso una maggiore maturità e una vita più ricca di possibilità e benessere. Sì, possibilità e benessere.