Un bambino contempla una creatura marina, concentrato la guarda, sente stupore, allunga la mano
per conoscere di più: vive intensamente il momento. Più in là una coppia, lei dice a lui qualcosa di toccante, l’emozione scorre
condivisa, poi lei si stacca bruscamente “oh, mica dicevo sul serio, eh!”. Più
avanti lei ammette “il momento stava diventando troppo coinvolgente…ho preferito
stemperarlo”, come dire il piatto è troppo forte, non ne reggo i sapori.
Come ci impediamo di vivere? Di esserci
al 100% nella nostra vita? Cosa facciamo in fondo ogni giorno per “vivere solo
a metà” e cosa possiamo fare, invece, per assaporare fino in fondo la nostra
vita, col coraggio di chi sa affrontare i bocconi amari e con altrettanta
lucidità riconoscere e gustare fino in fondo i bocconi buoni?
La prima cosa è riconoscere che ci sono
dei modi ben precisi di funzionare che ci tengono lontani dalla consapevolezza
presente e ci permettono di evitare le nostre stesse esperienze. Attenuare l’intensità
di un’emozione parlandoci sopra o intorno (intornismo) è un modo per
allontanarci da ciò che stiamo vivendo, strumentalizzare uno scambio verbale
evitando di esprimere quello che pensiamo davvero (manipolazione) è un altro
modo ancora, lasciarci imprigionare nei dovrei/non dovrei (doverismo) per
evitare di vedere ciò che semplicemente c’è/non c’è rappresenta una terza via
per evitare la realtà.
Del doverismo abbiamo già parlato nel post Stop Doverismo, qui lasciamo spazio alla trattazione di intornismo e
manipolazione. Chiacchierare sulle cose, girarci attorno anziché dirle, cercare
spiegazioni a tutti i costi e concettualizzare (intornismo) serve spesso
a evitare di stare con ciò che c’è, permette di stabilire una distanza
dall’esperienza e risponde ad un’esigenza di controllo della realtà. Una
tecnica utile per affrontare l’intornismo è la regola della
non-autointerpretazione: smetterla di
dirci che abbiamo agito così perché. Se la persona riesce a seguire
l’invito a non darsi/cercare spiegazioni, scopre che non ne ha bisogno per
conoscere sè stessa e può cominciare a vedere com’è sotto la crosta delle
spiegazioni dietro cui prima si nascondeva. Se poi scopre di non riuscire a
rinunciare a certe spiegazioni, questa è una buona occasione per capire quali
sono le esperienze qui-e-ora che più cerca di evitare, esplorando il suo
bisogno di evitare un disagio.
Non meno incisivi gli effetti della manipolazione,
ovvero delle azioni compiute per evitare di esserci davvero, per vivere a metà
evitando l’esperienza, così da non affrontare stati di disagio per cui non si è
pronti. La manipolazione può essere fatta a sè stessi o agli altri. Nel primo caso,
la persona agisce senza seguire i suoi impulsi e poi “se la racconta” sul senso
del suo comportamento, riempie le giornate per “non avere tempo” di fare ciò
che vuole evitare o di stare seduta, costretta alla consapevolezza di sé,
programma il futuro per non stare nel presente ecc; nel secondo caso, la
persona con gli altri attua un gioco, e perciò adotta un certo comportamento
per ottenere un certo risultato a proprio vantaggio. E il comportamento
manipolatorio é ben lontano da una vera azione, che per definizione è
espressione di sé e/o dei propri impulsi. Quanta differenza tra un abbraccio dato
per dare un'impressione di cordialità, e un abbraccio vero tra cari amici, fine a sé stesso, che non si aspetta di dimostrare nulla (caso
mai è esso stesso dimostrazione), esprime e basta. Per contrastare la
manipolazione e l’automanipolazione cominciamo col fare attenzione alle richieste
di permesso (= un modo per dare agli altri la responsabilità di una propria
azione, così da evitare l’impegno di decidere), false domande (= domande volte
a rassicurare chi parla ed aiutarlo ad evitare meglio l’esperienza da cui ha
origine la domanda), richieste (= domande con cui chiedendo agli altri qualcosa
non li si lascia semplicemente essere sé stessi) e risposte (= risposte
acquiescienti o che comunque sono date per ottenere o evitare qualcosa, a
differenza delle reazioni che sono autentiche in quanto esperienze provocate
dalla domanda). Ad una distorsione dell’azione come la manipolazione si può poi
rispondere con un’azione consapevole, magari dedicando un tot minuti al giorno
a verbalizzare ciò che si sente, si pensa e si prova qui-e-ora, prendendo atto
di ciò che c’è nel presente, il ché impedisce alla persona di elaborare il suo
programma. Stare davvero nel continuum di consapevolezza, amplia la
consapevolezza della persona e la rende aperta all’esperienza anziché affannata
a fabbricare esperienza. Un passo essenziale per vivere le nostre esperienze in
modo pieno.
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