A volte, una crisi esistenziale parte da un bisogno di riconoscimento frustrato troppo a lungo e può essere affrontata solo a partire da lì.
A volte, restiamo bloccati nella ricerca di un particolare riconoscimento che non arriva e non arriverà mai: ci sentiamo in gabbia perchè madri, padri o altre figure per noi importanti non approvano le nostre scelte di vita e le disconoscono totalmente, arrivando al punto di dire "tu non conti perchè ecc. ", un messaggio che equivale a dire "tu non esisti".
Ognuno di noi è chiamato a diventare ciò che è, ma se ciò che siamo e diventiamo non è riconosciuto la sofferenza psichica è alta. In questi casi spesso occorre lavorare sul "nostro pezzo", su ciò che ci riguarda in prima persona, esplorando le possibilità di riconoscimento e autorizzazione a essere ciò che siamo che partono prima di tutto da noi, a volte solo da noi.
La vita sociale nel senso più sano e pieno del termine c'è quando l'esigenza del riconoscimento si intreccia con la reciprocità e si concretizza in relazioni che nutrono riconoscendo.
Il Prof. Remotti esprime, in questo senso, un punto di vista che condivido profondamente: "Se c'è qualcosa di irrinunciabile per le persone, questa non è l'identità, ma il riconoscimento. L'identità è solo una forma, estrema, di riconoscimento di sé in opposizione ad altro".
In altre parole, non occorre che tu sia uguale a me per riconoscermi, non occorre tu sia uguale a me per amarmi. E lo stesso vale per me: posso riconoscerti nella tua alterità da me, posso persino amarti per quanto tu sia diverso e altro da me.
Ma l'amore è un di più, non è necessario ci sia amore perchè ci sia riconoscimento.
Non occorre neppure l'accordo perchè ci sia riconoscimento. Posso, infatti, non essere d'accordo con te, ma riconoscere la legittimità del tuo essere altro da me, del tuo punto di vista, per quanto altro e diverso dal mio.
Basta che io ti veda e che tu mi veda. Senza proiezioni, senza confusioni identitarie, basta che ci concediamo di essere un soggetto davanti a un altro soggetto.
Per dirla alla Buber, basta che siamo un Io e un Tu.