Sono tanti i modi con cui ci impediamo di vivere bene. Tre sono i più diffusi e pervasivi. Tutti a tre hanno a che fare con una voluta, drammatica rinuncia alla consapevolezza che perpetriamo contro noi stessi molto più spesso di quanto immaginiamo.
Partiamo dal primo modo con cui evitiamo di vivere davvero: il doverismo.
Il Doverismo è un modo estremamente efficace per non essere in contatto con sé stessi. E’ un tema forte in molte persone, schiacciate tra “come sono” e “come dovrebbero essere”, uomini e donne il cui linguaggio è ricco di espressioni come “metto io i paletti”, “ci sono limiti da rispettare”, “dovrei”, “non dovrei”, “sarebbe giusto”.
Il doverismo crea una gabbia che protegge e chiude allo stesso tempo: protegge dai rischi di un contatto pieno con gli altri e con sé stessi – i vari “dovrei” e “dovresti” aiutano a incanalare ogni cosa, persona e rapporto in modalità prestabilite – chiude rispetto al mondo nella misura in cui il “come dovrebbero andare le cose” diventa la sola cosa considerata, creando un filtro troppo selettivo e come tale miope nei confronti della realtà.
Proviamo a immaginare di avere davanti agli occhi una splendida pianta.
Possiamo scrivere su un foglio cosa proviamo al riguardo, cosa vediamo, cosa ci colpisce, possiamo toccarla, odorarla e vedere che effetto ci fa, cosa ci viene voglia di fare, cosa ci richiama…oppure in base a una check list preparata in precedenza che valuta altezza, saturazione dei colori, grandezza delle foglie, possiamo dare una valutazione alla pianta.
In quale dei due casi abbiamo prestato attenzione davvero alla pianta e a noi stessi rispetto alla pianta?
Chiaramente non quando abbiamo usato la check list del doverista che ha deciso a priori cosa rende ben fatta una pianta e valuta la realtà, ma solo quando ci siamo concessi di sentire e descrivere liberamente.
Eppure spesso usiamo personalissime check list per valutare la realtà, anziché viverla.
Nel doverismo il “devi” domina tutto ed invade il linguaggio con l’uso ossessivo di “giusto e sbagliato”, “bene e male”.
Il doverismo tortura la persona raffrontandola continuamente a degli ideali rispetto ai quali essa può collocarsi entro un ristretto intervallo di valori accettabili: se potesse parlare il doverismo direbbe “se stai dentro, vai bene, se stai fuori, vai male, essere ciò che sei non è contemplato, conta solo lo scostamento accettabile o meno dall’ideale”.
Una prescrizione anti-doverista, non a caso, recita:
“smetti di autoapprezzarti e di autobiasimarti, ora”.
Se la persona ci riesce, ha risolto metà del problema: il doverismo, infatti, imbriglia col filtro distruttivo della valutazione tutta l’esperienza di sé, del mondo e degli altri.
Le cose non vengono sperimentare per ciò che sono, per ciò che la persona percepisce o prova, ma solo in base a quanto corrispondono a un ideale di realtà che la persona si è costruita. Così il doverista estremo non sperimenta la realtà, la valuta: non ama una persona per ciò che è, non riesce neppure a vederla davvero, ma la sceglie perché ha superato la checklist dei parametri ritenuti adeguati in un partner. Il doverismo svuota l’amore e la bellezza, mentre crea con la valutazione colpa, ansia e vergogna: interiorizzare il messaggio “la consapevolezza è abbastanza, essere è abbastanza” può avere un effetto davvero liberatorio. A questo risultato si può arrivare con percorsi di crescita personale, personalissimi, con terapie, gruppi di ascolto, sempre a patto di essere disposti a cominciare a sentire e a sentirsi di più senza giudicarsi. Faticoso? Sì...all'inizio. Inutile dire che si guadagna il gusto di vedere e vivere piu intensamente, assaporando tutto per davvero, con meno filtri.